CORTE DI APPELLO DI FIRENZE PRIMA SEZIONE CIVILE La Corte riunita in camera di consiglio, in persona dei magistrati: dott. Pietro Mascagni - Presidente, dott. Nicola Antonio Dinisi - consigliere relatore, dott. Adone Orsucci, consigliere, nella causa iscritta al n. 346/14 R.V.G. promossa da Rabizzi Stefano, Borghi Fabio, Pisaneschi Andrea, Costantini Graziano e Monaci Alfredo (avv. S. Menchini, A. Galante, G.L. De Angelis), contro la Commissione nazionale per le societa' e la borsa (avv. S. Providenti, M.L. Ermetes, R. Vampa, E. Garzia); con l'intervento del P.G. Avente ad oggetto: opposizione ai sensi dell'art. 195, decreto legislativo 28 febbraio 1998, n. 58; trattenuta in decisione all'udienza del 28 novembre 2014, ha emesso la seguente ordinanza. La Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB) con delibera n. 18856 del 9 aprile 2014 ha applicato a Stefano Rabizzi, Fabio Borghi, Andrea Pisaneschi, Graziano Costantini e Alfredo Monaci, in qualita' di componenti del consiglio di amministrazione della Banca Monte dei Paschi di Siena nel periodo dal 1° settembre 2010 al 27 aprile 2012, la sanzione amministrativa di € 135.000,00 ciascuno, di cui: 1) € 45.000,00 per violazione, con riferimento alle riscontrate irregolarita' relative alla disciplina dei conflitti di interesse, dell'art. 21, comma 1-bis, lettera a) del TUF e degli articoli 23 e 25 del regolamento congiunto Banca d'Italia/CONSOB del 29 ottobre 2007, che impongono agli intermediari di adottare ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse e di gestirli in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti; 2) € 45.000,00 per violazione, con riferimento alle riscontrate irregolarita' relative alla valutazione di adeguatezza delle operazioni, del combinato disposto dell'art. 21, comma 1, lettera d) del decreto legislativo del TUF e dell'art. 15 del regolamento congiunto Banca d'Italia/CONSOB del 29 ottobre 2007, che impongono agli intermediari di dotarsi di procedure idonee ad assicurare il corretto svolgimento dei servizi di investimento, nonche' dell'art. 21, comma 1, lettera a) del TUF, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l'interesse dei clienti, e degli articoli 39 e 40 del regolamento CONSOB n. 16190 del 29 ottobre 2007, che disciplinano la profilatura del cliente e la valutazione di adeguatezza; 3) € 45.000,00 per violazione, con riferimento alle irregolarita' relative alle modalita' del pricing del prodotti di propria emissione, del combinato disposto dell'art. 21, comma 1, lettera a) del TUF, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l'interesse dei clienti, nonche' l'art. 21, comma 1, lettera d) del TUF e dell'art. 15, comma 1, del regolamento congiunto Banca d'Italia/CONSOB del 29 ottobre 2007, che impongono agli intermediari di dotarsi di procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attivita'. Avverso tale delibera i predetti hanno proposto opposizione davanti a questa Corte ex art. 195, comma 4 del decreto legislativo n. 58/1998, deducendo, oltre a motivi di merito, motivi attinenti ai connotati del procedimento sanzionatorio dinnanzi alla CONSOB e alla disciplina dell'opposizione. In via preliminare hanno sollecitato la Corte a sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195 del decreto legislativo n. 58/1998 sia per contrasto con l'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo in relazione all'art. 117 Cost., sia per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Sotto il primo profilo hanno evidenziato che, mentre l'art. 6 della Convenzione stabilisce che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente, entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge e che la sentenza debba essere resa pubblicamente (salvo che in circostanze speciali la pubblicita' possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia), l'art. 195, comma 7 del decreto legislativo n. 58/1998 dispone che la Corte di appello decide sull'opposizione in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato. Di conseguenza, non essendovi dubbio che il procedimento camerale si svolge in camera di consiglio e non in pubblica udienza ne deriva, secondo gli opponenti, che l'art. 195, comma 7 deve ritenersi incostituzionale per violazione dell'art. 6 della Convenzione in relazione all'art. 117 Cost., nella parte in cui non prevede che il procedimento di opposizione si svolga in pubblica udienza. Al riguardo hanno segnalato che elementi a conforto di tale assunto possano trarsi dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in data 4 marzo 2014 (Grande Stevens/Italia ricorso n. 18640/10) con la quale si e' affermato che: a) in conformita' ad un orientamento da tempo affermatosi nella giurisprudenza della Corte anche le sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB si configurano come sanzioni di natura sostanzialmente criminale, con conseguente applicabilita' delle garanzie del giusto processo enunciate dall'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo ed, in particolare, del principio di parita' di trattamento fra accusa e difesa, imparzialita' dell'organo giudicante, presunzione di innocenza, diritto di informazione sulla natura e i motivi dell'accusa, ecc.; b) in riferimento al difetto di contraddittorio sulle conclusioni che l'organo istruttorio trasmette alla Commissione, le procedure previste dalla CONSOB non soddisfano appieno le previsioni dell'art. 6 della Convenzione per cio' che concerne la parita' tra accusa e difesa e la tenuta di un'udienza pubblica che permetta un confronto orale; c) gli uffici della CONSOB deputati allo svolgimento delle attivita' istruttorie e la Commissione non sono che articolazioni di un medesimo organo amministrativo che agiscono sotto l'autorita' del medesimo presidente, con la conseguenza di un esercizio consecutivo delle funzioni di inchiesta e di giudizio in seno ad una medesima istituzione, in materia penale, non compatibile con le esigenze di imparzialita' previste dall'art. 6, comma 1 della Convenzione. Ne deriva, dunque, ad avviso degli opponenti, che il sistema dell'art. 1965, comma 7, del TUF si pone in conflitto con l'art. 6, comma 1 della Convenzione, con la conseguenza che, non potendo questa Corte procedere all'autonoma disapplicazione delle norme di legge, si rende necessario sollevare la questione di costituzionalita' delle disposizioni sopra richiamate, ai fine di permettere ai ricorrenti di poter usufruire di un processo equo e rispettoso dei principi imposti in sede europea. Sotto il secondo profilo gli opponenti hanno rilevato che per le sanzioni amministrative contemplate dall'art. 195 del TUF e' prevista una disciplina dell'opposizione del tutto diversa da quella prevista in via generale per le sanzioni amministrative. Per le prime e' previsto che l'opposizione venga proposta dinanzi alla Corte d'appello e che il giudizio di opposizione si svolga secondo il rito camerale; per le seconde, ex art. 6, decreto legislativo n. 150/2011, e' previsto il rito del lavoro. Giusta la formulata eccezione, la normativa speciale prevista per le sanzioni CONSOB dall'art. 195, commi 4 e 7 TUF sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 3 Cost., in quanto a fronte di situazioni omogenee sarebbero previste discipline sensibilmente ed irragionevolmente diverse. In particolare il diverso grado di tutela dei diritti nell'uno rispetto all'altro caso, sarebbe evidenziato dalla previsione, per le sanzioni CONSOB, di un unico grado di merito cui si accompagnerebbe una cognizione necessariamente di qualita' inferiore propria del procedimento camerale. Si e' costituita la CONSOB che ha confutato le argomentazioni difensive degli opponenti in relazione a tutti i profili dedotti e ha chiesto il rigetto del ricorso. La Corte rileva quanto segue. Il procedimento di opposizione dinanzi alla Corte d'appello (art. 195, comma 4 del decreto legislativo n. 58/1998) e' camerale, come reso evidente dall'art. 195, comma 7 del decreto legislativo citato («La Corte d'appello decide sull'opposizione in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato»). L'opponente nella sostanza deduce l'illegittimita' della delibera sanzionatoria per carenze di contraddittorio che si collocano all'interno del procedimento CONSOB, ma non pare corretto valutare le garanzie di difesa per segmenti del procedimento, prescindendo dalla considerazione della fase eventuale, a cognizione piena, dinanzi all'autorita' giudiziaria. Al riguardo occorre richiamare i principi espressi dalla Corte EDU nella detta sentenza n. 18640 del 4 marzo 2014 resa in un caso in cui si discuteva di sanzioni per illeciti ex art. 187-ter TUF dalla Corte stessa qualificate come sostanzialmente di natura penale. Giova al riguardo ricordare che giusta tale sentenza (cfr. paragrafo 94) «... al fine di stabilire la sussistenza di una "accusa in materia penale", occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il grado di severita' della "sanzione" (Engel e altri contro Paesi Bassi, 8 giugno 1976, paragrafo 82, serie A n. 22). Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi: affinche' si possa parlare di "accusa in materia penale" ai sensi dell'art. 6, paragrafo 1, e' sufficiente che il reato in causa sia di natura "penale" rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l'interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravita', rientri in linea generale nell'ambito della "materia penale". Cio' non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l'analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una "accusa in materia penale" (Jussila contro Finlandia [GC], n. 73053/01, paragrafi 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs contro Lettonia, n. 65022/01, paragrafo 31, CEDU 2007-IX - estratti)». Parimenti occorre richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure di carattere punitivo afflittivo (ivi comprese evidentemente quelle che l'ordinamento interno qualifica come sanzioni amministrative) devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto (principio espresso agli effetti della irretroattivita' delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative). Premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e' la CONSOB (paragrafo 138 sentenza Corte EDU cit.), il rispetto della Convenzione, a prescindere da carenze di contraddittorio che possano essersi verificate in alcune fasi del procedimento, viene assicurato dalla possibilita' di ricorrere ad un giudice dotato di giurisdizione piena quale e' la Corte d'appello. La conclusione cui e' giunta la Corte EDU e' stata, quindi, nel senso che «... il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell'art. 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parita' della armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale»; nonostante quanto precede la Corte ha escluso una automatica violazione dell'art. 6 della Convenzione proprio in quanto: 1) non era contrario alla Convenzione che le sanzioni, giusta la normativa interna, fossero inflitte da un'autorita' amministrativa quale e' la CONSOB; 2) occorreva che i soggetti destinatari passivi dei provvedimenti sanzionatori potessero impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di dare una decisione nel rispetto dell'art. 6 della Convenzione; 3) cio' era avvenuto nella fattispecie in quanto gli interessati si erano avvalsi della possibilita' di impugnare le sanzioni inflitte dinanzi alla Corte d'appello di Torino; il problema secondo la Corte EDU atteneva allo stabilire se tale Corte d'appello fosse «organo dotato di piena giurisdizione» ai sensi della sua giurisprudenza (questione risolta in senso affermativo), e se l'udienza svolta dinanzi a tale giudice fosse stata pubblica; e' proprio in riferimento alla assenza di udienza pubblica che la Corte EDU e' giunta alla conclusione della violazione della Convenzione («161. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche se il procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di equita' e di imparzialita' oggettiva dell'art. 6 della Convenzione, i ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di un organo indipendente e imparziale dotato di piena giurisdizione, in questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima non ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che, nel caso di specie, ha costituito una violazione dell'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione.»). La pubblicita' dell'udienza, nell'assunto espresso dalla Corte EDU in tale decisione, ha, quindi, assunto una funzione centrale e di necessaria chiusura del sistema delle garanzie. Peraltro la giurisprudenza della Corte EDU in ordine alla imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti del rispetto dell'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione non esprime un principio assoluto valido per tutti i casi. Ad esempio nella sentenza in data 23 novembre 2006 nel caso Jussila contro Finlandia la Corte EDU dopo aver ribadito che tenere un'udienza pubblica e' un principio fondamentale posto dall'art. 6 della Convenzione e che tale principio e' di particolare importanza nella materia penale, ha osservato che «... l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non e' assoluto. L'art. 6 non esige necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Cio' vale, in particolare, per i casi che non sollevano questione di credibilita' o che non scatenano controversia sui fatti che necessitano di una udienza e per i quali i tribunali possono pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle conclusioni presentate dalle parti e di altri elementi. Inoltre, la Corte ha riconosciuto che le autorita' nazionali possono tener conto dei problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per esempio, che l'organizzazione sistematica di dibattiti possa costituire un ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza sociale ed, in definitiva, impedire il rispetto di un termine ragionevole ai sensi dell'art. 6, paragrafo 1, ...»; ancora in tale sentenza e' stato osservato che «... in un procedimento di prima ed ultima istanza, l'udienza deve essere tenuta, salvo circostanze eccezionali che giustifichino di farne a meno ... l'esistenza di tali circostanze dipende in gran parte dalla natura dei problemi di cui i tribunali sono investiti, e non dalla frequenza dei casi in cui si presentano ...». La sanzione inflitta agli opponenti deve essere qualificata di natura lato sensu penale, nonostante l'ordinamento interno la qualifichi formalmente come sanzione amministrativa, in quanto sono vincolanti l'interpretazione data dalla Corte EDU e l'indicazione da essa fornita dei criteri in relazione ai quali vagliare l'effettiva natura di una sanzione. Infatti, chiarito che la qualificazione data dall'ordinamento interno non e' dirimente, in quanto occorre verificare se una sanzione sia di natura «penale» agli effetti della applicazione della Convenzione, non puo' non considerarsi la particolare gravita' afflittiva della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 190 del decreto legislativo n. 58/1998, per la violazione dell'art. 21 dello stesso decreto legislativo in un importo da € 2.500,00 ad € 250.000,00 (dovendosi aver riguardo, agli effetti che qui interessano, alla sanzione edittale e non a quella in concreto irrogata in quanto, ovviamente, l'individuazione della natura della sanzione prescinde dalle circostanze che ne determinano la modulazione fra il minimo ed il massimo). Convince ulteriormente della detta natura lato sensu penale l'esclusione, disposta dall'art. 190 del decreto legislativo n. 58/1998 dell'applicabilita' dell'art. 16, legge n. 689/1981 (pagamento in misura ridotta), e, soprattutto, il regime pubblicitario proprio delle sanzioni CONSOB. Al riguardo occorre ricordare che giusta l'art. 195, comma 3 del decreto legislativo n. 58/1998 «Il provvedimento di applicazione delle sanzioni e' pubblicato per estratto nel Bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca d'Italia o la CONSOB, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori per dare pubblicita' al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell'autore della violazione, ovvero escludere la pubblicita' del provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti»: la previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata confermata la pubblicita' normalmente prevista per estratto nel Bollettino della CONSOB), estensibile a forme ulteriori (quali la pubblicita' su quotidiani), evidenzia ulteriormente il carattere afflittivo della sanzione, in ragione delle ripercussioni negative sull'immagine del soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio. Le considerazioni che precedono evidenziano una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 7 del decreto legislativo n. 58/1998, norma che potrebbe essere in contrasto con art. 117 Cost. in quanto non conforme all'art. 6 della Convenzione. La questione oltre ad essere non manifestamente infondata, e' rilevante in questo giudizio in quanto, accertata la natura lato sensu penale della sanzione giusta i vincolanti criteri di valutazione posti dalla Corte EDU, dovendo questa Corte d'appello necessariamente seguire il rito camerale imposto clan'art. 195, comma 7 del decreto legislativo n. 58/1998 (senza che sia possibile una diversa interpretazione, salvo una inammissibile disapplicazione della norma, e senza che sia possibile introdurre il correttivo della pubblicita' dell'udienza che, di per se', renderebbe non camerale il procedimento), ed essendo il rito camerale, per definizione, caratterizzato dalla assenza di una pubblica udienza, essendo il giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza della Corte EDU suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni, il sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio, ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al riguardo inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita illegittimita' del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio che lo conclude. Preme rilevare che il sospetto di non conformita' a Costituzione (art. 117, comma 1) investe l'art. 195, comma 7 del decreto legislativo n. 58/1998, e non anche le norme del codice di rito che prevedono il rito camerale. La Corte costituzionale in ordine a tale rito si e' gia' espressa, ed occorre segnatamente ricordare la sentenza n. 543/1989 con la quale e' stato affermato che secondo la costante giurisprudenza della Corte stessa «... il procedimento camerale non e' di per se' in contrasto con il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di questi ultimo e' variamente configurabile dalla legge, in relazione alle peculiari esigenze dei vari processi "purche' ne vengano assicurati lo scopo e la funzione", cioe' la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti»; nella stessa sentenza e' stato osservato che «... L'adozione della procedura camerale, anche nei casi in cui si e' in presenza di elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore compie circa l'opportunita' di adottare determinate forme processuali in relazione alla natura degli interessi da regolare ed, in quanto tale, sfugge quindi al sindacato di questa Corte "nei limiti in cui, ovviamente, non si risolve nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza" (ordinanza n. 748 del 1988 e sentenza n. 142 del 1970)»; la Corte costituzionale nella detta sentenza, non ha mancato di rilevare che il rito camerale non viola il diritto di prova in quanto «... anche nel rito camerale in appello e' possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e procedere alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purche' il relativo modo di assunzione - comunque non formale nonche' atipico - risulti, da un lato, sempre compatibile con la natura camerale del procedimento, e, dall'altro, non violi il principio generale della idoneita' degli atti processuali al raggiungimento del loro scopo ...». La questione pero' non e' quella di stabilire se il rito camerale assicuri sufficientemente la difesa od il contraddittorio, bensi' quella di stabilire se un'opposizione avanti ad un giudice dotato di giurisdizione piena ma vincolato al rito camerale possa integrare carenze del procedimento sanzionatorio CONSOB. Una risposta negativa al quesito porrebbe il detto art. 195, comma 7 del decreto legislativo in contrasto con l'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione e, quindi, con l'art. 117 Cost. Il dubbio al riguardo non e' manifestamente infondato stante la ricordata giurisprudenza della Corte EDU laddove ha segnalato la particolare importanza dell'udienza pubblica quando si discute di sanzioni penali; certo, come si e' detto, il principio della pubblicita' dell'udienza non e' stato espresso in termini assoluti, e la necessita' o meno di una pubblica udienza va ricostruita in relazione alla natura della questione controversa, ma tale operazione si risolve nel giudizio di conformita' all'art. 117, comma 1 Cost. della detta norma, conformita' sulla quale questa Corte non puo' non esprimere un dubbio sulla base della giurisprudenza della Corte EDU (analoga questione, per altro, risulta sollevata recentemente dalla Corte d'appello di Genova; con ordinanza 10 dicembre 2014 - 8 gennaio 2015). Il secondo profilo di costituzionalita' sollevato dagli opponenti si pone su di un piano diverso da quello per il quale viene sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 7 TUF in relazione all'art. 117, comma 1 Cost., ma un rapporto e' innegabile in quanto ove fosse dichiarata incostituzionale detta norma del TUF rimarrebbe automaticamente assorbito questo secondo profilo di costituzionalita'. Ragionando, quindi, nell'ottica di una eventuale affermazione di conformita' dell'art. 195, comma 7 TUF agli obblighi derivanti dalla Convenzione EDU e quindi alla Costituzione, occorre premettere che, seguendo la prospettazione della parte che ha sollevato l'eccezione, affermando essa che l'art. 3 Cost. imporrebbe disciplina processuale eguale per tutte le situazioni omogenee, il problema investirebbe pesantemente tutto il nostro sistema processuale caratterizzato da una miriade di riti (problema al quale recentemente, e solo parzialmente, e' stato posto rimedio con il decreto legislativo n. 150/2011, c.d. decreto taglia riti). Il problema, pero', e' diverso in quanto la diversita' di riti di per se' non e' idonea a determinare una disparita' di trattamento che possa assumere rilievo costituzionale, ove ad essa non consegua un grado di tutela inferiore: accertato che il rito camerale e' conforme agli articoli 24 e 111 della Costituzione in quanto idoneo ad assicurate il «giusto processo» (Corte costituzionale n. 543/1989, n. 1/2002), si deve solo evidenziare che «... e' da escludere che ogni rito processuale diverso da quello ordinario possa, di per se', essere considerato in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, e cio' perche' questi ultimo non costituisce ... l'unico ed esclusivo strumento di attuazione della garanzia costituzionale» (Corte costituzionale n. 543/89 cit). Se cosi' e', se l'elemento eventualmente discriminante e' un grado di garanzia non conforme a quello costituzionalmente garantito, esclusane la ricorrenza (nel qual caso risulterebbe violati gli articoli 24 e 117, comma 1 Cost.), rientra nella discrezionalita' del legislatore disciplinare, nel detto ambito costituzionale, le forme di tutela. Peraltro molto si potrebbe discutere anche in ordine alla pretesa omogeneita' delle situazioni: il procedimento di accertamento, contestazione ed applicazione delle sanzioni amministrative delineato dalla legge n. 689/1981 e' ben diverso da quello piu' complesso delineato successivamente, ratione materiae, dall'art. 195 del decreto legislativo n. 58/1998, dall'art. 24 della legge n. 262/2005 e successivi regolamenti, sicche' non e' irragionevole che il legislatore, fermo un grado sostanzialmente omogeneo di garanzia, abbia voluto disciplinare diversamente il procedimento di opposizione. Infine deve ricordarsi che il doppio grado di merito non e' assistito da garanzia costituzionale (Corte costituzionale n. 80/1988, n. 78/1984 e n. 186/1990). Sotto il profilo in esame (incostituzionalita' dell'art. 195 del decreto legislativo n. 58/1998 per contrasto con l'art. 3 Cost.) la questione appare, quindi, alla Corte manifestamente infondata, mentre essa viene sollevata, in quanto ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in relazione al primo profilo sopra esaminato (incostituzionalita' dell'art. 195, comma 7 del decreto legislativo n. 58/1998 per contrasto con dell'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo in relazione all'art. 117 Cost.).